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in quest’acerba mattina di settembre scrivo quattro righe
per ricordarmi che è giunto a compimento il mio lavoro(!).
Ho esplorato a lungo la decadenza di questa piattaforma come di tante altre italiane
che descrivono l’ultima spiaggia (tranne in rari casi fortuiti) di generazioni di figli di Arthur Fonzarelli, gente rimasta intrappolata in libri di Baricco (mio dio) come Oceano Mare o della sua delfina Isabella Santacroce o di coloro che dopo aver letto un libro di Kerouak o di Bukowski hanno un orgasmo e sborrano inerti fiumi di birra doppio malto su queste inermi pagine elettriche.
Non è questo che basta a riempire le vostre solitudini, le nostre, questa virtualità figlia di handicap autoinflitti senza un fine, se non quello tristemente ricreativo e sessuale disperatamente solipstico e simulato (tranne rari casi ripeto), non è giusto spacciare se stessi con un immagine di se, che sia fotografica, olografica, narrativa, descrittiva, televisiva, comunque virtuale, illudersi, di conoscere se e quegli altri (ah ah ah ah) chiusi dentro la scatola colorata, siamo corpi, non menti; l’individualità distinta in un contenitore, analitico o disordinato, accordato o discordante noi stessi, non ci rappresenta non ci descrive non ci esprime.
tutto ciò è nulla perché…

noi non abbiamo un corpo,
noi siamo un corpo,
in quanto noi non siamo.


Gilles Deleuze
                              

fisso                                                                                                                  
                   

trovami semplice,
se ci sei

                 

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