si fa quel che si è(formalità in formalina)   8 comments

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da un testo di John Berryman(‘914 – ’72)
Remeron interpreta.
tanto per dire che gli (post)strutturalisti,
con Carmelo Bene non hanno scoperto nulla
che altri non avessero già sperimentato ed i romantici prim’ancora
solo per sottolineare, mai stanco, lo stantio, la putrefazione
che la nostra "signora" cultura occidentale ottenebra e tristemente
specula (o)stentando.

da questa ed altre illustri testimonianze, come quella del precedente post, ne deriva che il vostro "passatempo" da fruitori, o intenditori della domenica, ciò che considerate arte non lo è(figuriamoci il romanzetto italo-siculo-marchigiano-emiliano-campan(o)ilista[spariamoli a vista] della feltriSnelli), il 99,9% degli artisti ha bisogno(come gli avi malati "d’arte" presagiscono nelle testimonianze autografe; scevre dal (show)business simultaneo e spicciolamente speculativo della bubblicità inbonitrice da Tivvù) di piegarsi, storpiarsi, mortificarsi per mettere a frutto la propria sensibilità ed in questa società petrolifera e massificante non può farlo soccombendo al divism TV o all’anonimato dell’ NU(nettezza urbana); da qui l’anale,ibernata, (freudiana) "supposta" valenza evergreen delle mummificate avanguardie(siamo rimasti li), da qui lo scadimento artistico degli artefici, dei fruitori e della materia artistica nel "post(er) scriptum" take-away da tangente-autostradale-museale, nella nullificazione di una fruizione critica, lo stesso dicasi per i cosiddetti esperti che dovrebbero supplire alla vostra mente mancata, figli(ainoi) anch’essi di una specializzazione che in quanto tale preclude ogni possibilità d’espansione, dilatazione, ergo ecletticità d’interpretazione personale che non evada dal diktat equatoriale (nel senso della "centralità" dell’allineamento) del velleitario istituzionale, già (pre)scritto, settario, business e senso comune, dunque del banale, del sentito dire, l’arte; come la mozzarella, spaghetto e mandolino… è un bene di tutti, riprendetevela, ancor di più in coscienza che il 100% dei collezionisti sono dei polli ignorantissimi in balia di un gallerista o di un criticorucolo nato dietro casa tua(nel campo di carciofi) che (pur de magnà) scambierebbe un Picasso per un cavoletto di Bruxelless(esterofilia assassina)^^.

8 responses to “si fa quel che si è(formalità in formalina)

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  1. nella dottrina di berryman (illustrissimamente ancora non ci conosciamo) c’è una pertinenza innegabile, il riconoscimento dei presupposti più nefasti utili all’arte, l’humus di proficue disgrazie, compresi, direi, quei rammollimenti cerebrali [tutta una casistica di demenze] che l’arte stessa e il lavorio eterno della diversità ingenerano. è però sospetto il suo desiderio di partecipare, quell’ansia di calamità in vista dei futuri grandi risultati, quell’auspicio di handicap e/o danni permanenti, come se questi fossero una garanzia di riuscita, una “prova” d’appartenenza al rango. alquanto macchinoso da par suo, pur considerando il valore provocatorio e l’alta ironia dell’analisi – a insospettire è il suo coinvolgimento, laddove egli si immette tra i candidati al disastro, in attesa di un’avaria organica – parla come l’apprendista più devoto, ma non ancora intaccato dalla sventura della virtù; è una voce esterna, sindacale, che parla dall’interno della cava, tra i cadaveri degli operai; una sensibilità amante dell’arte, non un artista. non a caso il tono cattedratico in parodia della lettura, svuotata da qualsiasi possibilità lirica, freddo, severo, autodistruttivo, ottuso – pronto al calvario pur di raggiungere un’identità – pronto al punto da volerla senz’altro perdere.

  2. il tono è di Remeron, in un volo libero sulle parole di Berryman uno dei grandi poeti americani del 900, è ovvio dunque che la fonetica in questo caso da forma alla carta stampata, Berryman soffriva di disturbo bipolare, come Byron; la malattia mentale, il mal di vivere, il suicidio erano di casa nel suo entourage famigliare, padre e zia si spararono da qui la speranza di rimanerci “quasi crocifisso”, invece anche lui morì suicida, preda della malattia, lanciandosi nel vuoto.

  3. e poi non dimentichiamoci a proposito della piaga, dell’handicap, che nello stesso periodo dall’altra parte dell’oceano, Deleuze, Bene s’introiettavano nello stesso “macello”. Non è un sentire dell’epoca, infatti chi non conosce il poeta americano potrebbe benissimo collocarlo tra i romantici, é piuttosto la coscienza del sensibile che ha colto, l’importanza immane che ha il supremo strumento(il corpo). Uno dei primi a memoria d’uomo fu Gesù… per finire poi con l’inflazione dei kamikaze contemporanei.

  4. il 5 luglio 2000, come riportato in exlibris, acquistai i canti onirici e altre poesie di john berryman in una edizione einaudi (1978) a cura di tal sergio perosa. di pomeriggio, opinionismo in forma di trattore, non ho associato il nome a questo libro, in ogni caso non letto; poc’anzi invece leggendo la tua risposta ho “visto” la copertina bianca e la fotografia dell’uomo barbuto, il berryman medesimo. mi occuperò di questo the dream songs ben volentieri, sembra giunto il suo momento

  5. cmq sia, la citazione è strumentale ad una (“mia”) visione dell’arte sicuramente (se)viziata da determinate letture esperienze personali etc etc, aldilà dell’importanza oggettiva del Berryman o dello Shelley precedente, è il solito parlare con, o il farsi dire…

  6. come se per spremere un’eventuale mente occulta dalla zucca d’un asino si cominciasse a torturarlo in ogni modo, il massimo che potrà fare è ragliare… il giochino dunque, funziona ovviamente su individui predisposti, per gli altri dio li salvi dalla sofferenza… non è il dolore a creare l’artista ma eventualmente a destarlo.

  7. Siete troppo intelligenti per me 😐

  8. oO

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